Sogno e Identità. Riflessione sulla dimensione onirica

Domenica 1 dicembre 2019

Questo breve lavoro ha le caratteristiche di un'autobiografia, non tanto della vita esteriore, quanto di quella interiore e profonda.

Gli obiettivi sono due: il primo e più significativo consiste nel ricapitolare a me stesso il percorso che ha portato alla configurazione della mia identità di oggi, quest'oggi in cui sto attraversando la terza età; il secondo è cercar di capire qualcosa sul significato della dimensione onirica nella storia dell'individuo in genere e non solo nella mia.

Nei secoli circa il sogno si è detto molto: tante sono le interpretazioni che un grosso volume non basterebbe a contenerle tutte. Un approssimativo riassunto potrebbe dividerle in due gruppi: quelle che originano da una visione simbolico-mitologica e quelle che assumono come base di partenza le scienze neurofisiologiche.

La psicoanalisi – nonostante sia una disciplina nata in ambito medico (medico era lo stesso Freud) – si colloca senza dubbio nel primo gruppo, dato che il padre della psicoanalisi fu influenzato, nel comporre la teoria delle nevrosi e del sogno, più dalla mitologia che dalla neurofisiologia. Certamente, al tempo del Maestro viennese, questa disciplina disponeva di strumenti d'indagine molto limitati, mentre il mito greco rappresentava un contenitore colmo di una ricchezza inesauribile.

È appunto dal sogno che vorrei partire per ricercare in me stesso elementi della mia identità sui quali ancora, ormai settantenne, ritengo di non avere chiarezza. Sui sogni ho lavorato molto, soprattutto in gioventù: le mie 270 sedute di analisi personale, svolte a Rimini nello studio del compianto Prof. Giuseppe Tonini, erano in gran parte analisi dei sogni; meglio, interpretazione dei sogni. Sì, perché gli psicoanalisti di orientamento freudiano, ai quali il Professore apparteneva, ritengono di poter interpretare la maggior parte dei sogni.

Non è ancora pienamente evidente cosa loro intendano col termine “interpretazione”: per il Prof. Tonini si trattava di una spiegazione abbastanza dettagliata e razionale del sogno, cioè ad ogni scena, immagine, o frammento d'immagine del sogno veniva dato un significato. Era importante che il paziente condividesse le proposte dell'analista o, ancora meglio, che fosse il paziente stesso a proporre significati, che a loro volta dovevano però essere accettati dall'analista.

Analizzai almeno una trentina di sogni; per alcuni ancor oggi sento ricche di senso le interpretazioni che vennero date, ma altre non ressero al vaglio del tempo e negli anni mi resi conto che erano state indotte dal “sistema fondamentale di riferimento” – per dirla con Armando Bauleo – su cui poggia l'intera impalcatura psicoanalitica: il desiderio sessuale.

Volendo si può dare al desiderio sessuale un'estensione ampia, arrivando ad assimilarlo al movimento energetico che Freud chiama Libido (la tensione verso il piacere di cui il desiderio sessuale sarebbe la principale manifestazione). Essa, la Libido, è per la psicoanalisi come l'acqua in cui il pesce (il paziente) nuota.

E tornando a me: che rubinetti, manici di scopa, coltelli, bastoni ed aste di vario tipo avessero sempre un significato sessuale oggi non ne sono affatto convinto, mentre allora lo davo per scontato; che pozzi, voragini, temibili anfratti, vortici risucchianti, rappresentassero il mio timore di precipitare nella mortificazione o nell'insicurezza esistenziale, a distanza di quasi quarant'anni, ne sono ancora certo.

Poi nuovi e importanti elementi culturali vennero a modificare i miei scenari onirici e, di conseguenza, le interpretazioni: furono lo studio e la pratica dell'etologia.

A partire dal 1993 una serie di opportunità professionali mi misero a contatto con la psicologia degli animali. Per anni dovetti occuparmi di animali da laboratorio, ma successivamente – grazie ad una sana crisi di coscienza scaturita dalla vista dell'insopportabile sofferenza dell'animale destinato a scopi scientifici – lasciai quel mondo fatto di gabbie, costrizioni, cannule ed elettrodi impiantati ed iniziai ad osservare gli animali nel loro ambiente naturale o semi-naturale.

Dal rapporto con i cani – quelli domestici, ma soprattutto quelli randagi e selvatici – imparai molte cose, in senso sia scientifico che morale. Dal 2012 – in concomitanza dalle mie dimissioni definitive da A.I.S.A.L. (Associazione Italiana per le Scienze degli Animali da Laboratorio) e grazie alla frequentazione dell'Alta Murgia, nell'entroterra pugliese – ebbi modo di osservare il comportamento di animali, una volta domestici poi abbandonati dall'uomo, ed altri ormai inselvatichiti da generazioni di vita randagia.

Capii cose importanti, in quegli anni, ad esempio che il vissuto della speranza è presente in molti mammiferi; che il sentimento di solidarietà non è appannaggio esclusivo dell'uomo; che la gioia, il dolore, l'angoscia sono presenti in un uomo come in un maiale, in una pecora, in un cane, in una mucca. Mi resi conto che un maiale condotto allo scannatoio, o un cane selvatico preso a pietrate, provano emozioni del tutto simili al condannato umano inviato al patibolo, o al barbone inseguito dalla sassaiola di adolescenti stupidi e crudeli.

Capii che costringere una scrofa da allevamento intensivo in un box dove può a mala pena muoversi è un crimine perché si reprimono tutti i suoi fondamentali bisogni. Vidi galline in batteria con le zampe marcite dalla protratta immobilità; vitelli strappati alle madri e costretti a vivere in spazi limitatissimi, dove il loro naturale istinto alla corsa e al gioco era totalmente inibito affinché la scarsa ossigenazione dei tessuti ed i bassi valori di emoglobina rendessero la carne bianca, quindi di maggior pregio commerciale.

Non voglio tenerla lunga sull'immane coltre di dolore che, a causa dell'uomo, sentii riverberare dal mondo animale. Ma oggi so per certo che la consapevolezza della dannazione della nostra specie ha rimodellato tutta la mia vita esteriore ed interiore: la coscienza morale informa il tessuto psicologico fino a sedimentare nello scenario onirico.

Per me “sognare” l'uomo significa tratteggiare immagini di un essere rapace, persecutore, ingordo. E quando, tempo fa, un'amica che si occupa di scienze psichiche definì questo mio motivo onirico intriso di un'antica angoscia persecutoria, replicai che avrei di certo riflettuto sulla sua interpretazione, ma al contempo le proposi di accompagnarmi nella visita di un macello e di un allevamento intensivo: ovviamente spaventata declinò l'invito.

Gianni Tadolini

A cura del Poliambulatorio Kripton
U.O. di Psicologia e Neuroscienze




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