Sistema immunitario baricentro della vita

Giovedì 12 settembre 2019

A conclusione di questo lavoro il lettore avrà capito che il nostro obiettivo non era quello di scrivere un vero e proprio trattato sul sistema immunitario, cosa che avrebbe richiesto ben altre conoscenze specialistiche ed analitiche, bensì di realizzare un'esposizione sintetica, ma capace di introdurre ad una visione moderna e alla portata di tutti, avvicinando così un pubblico abbastanza ampio alla conoscenza di quelli che sono alcuni importanti meccanismi che governano lo stato di salute.

Ora vorremmo però congedarci con considerazioni che vanno ben oltre le normali conoscenze prettamente scientifiche sulle cellule e sui meccanismi più intimi della biochimica. Quindi: il sistema immunitario è quell'apparato che mette l'uomo e l'animale in relazione con il mondo esterno, permettendo loro di disegnare il confine fra ciò che è il Sé ed il mondo fuori di sé. E non solo è quel sistema che consente di far fronte alle aggressioni esterne che, quotidianamente e continuamente, ci vengono rivolte (virus, batteri ed agenti infettivi), ma anche agli stress emotivi, alle difficoltà di relazione con gli altri, all'inquinamento ambientale, alimentare, elettromagnetico.

La complessità che caratterizza l'uomo si esprime ai massimi livelli proprio in questo complesso sistema nel quale tutte le componenti devono essere in equilibrio per mantenere quell'armonia che conduce alla salute.

In questi anni abbiamo imparato come la psiche giochi un grande ruolo nella neuroinfiammazione e come stati di serenità o turbamento possano portare l'individuo verso una condizione di armonia e salute o, viceversa, verso uno stato di alterazione della bilancia immunitaria, tale da determinare, progressivamente nel tempo, una cascata di eventi clinici, a partire da infezioni ripetute, fino al manifestarsi di strane malattie allergiche o quadri di autoimmunità, se non addirittura il quadro degenerativo delle patologie tumorali.

Se si vuole evitare questa inesorabile progressione, oltre al classico approccio farmacologico, soprattutto in presenza di frequenti manifestazioni immuni, sarà importante andare in profondità nel vissuto della persona, alla ricerca di quegli eventi esistenziali che hanno determinato antiche ferite che permangono come cicatrici dell'anima. Sappiamo che esse, nei meccanismi oramai abbastanza noti dell'epigenetica, hanno condotto a quella sequenza di fatti ed eventi psicologici che possiamo notare nei racconti dei malati che si recano ai nostri ambulatori.

Nell’approccio classico medico/paziente nessuno dei due attori si rende conto di questa chiara progressione, dato che quasi mai viene descritta in maniera il lineare. Ma crediamo che il compito imprescindibile di una medicina moderna ed efficace sia comunque quello di informare gli utenti della medicina stessa di queste nuove conoscenze, ponendoli sulla strada del ritrovamento dell'equilibrio.

Obiettivo elevato, ma non impossibile, è quello di stimolare il paziente ad una collaborazione più attiva, verso un corretto stile di vita, una corretta alimentazione, verso la conquista di un equilibrio psicologico, con attenzione ai segnali che il corpo invia continuamente: insegnare al paziente ad interpretare i sintomi, non tanto come stato di “malattia” nel senso banale del termine, bensì come vere e proprie spie che si accendono nella “centralina” della corporeità per comunicare quello che non sta andando bene e quindi ciò che dovremmo modificare.

La scienza psicosomatica insegna che il corpo umano risponde spesso agli stimoli psicologici come se fossero eventi materiali, tangibili, tattili; un pericolo solamente emotivo viene interpretato dall'organismo come un attacco reale. Facciamo un esempio: un bambino teme di essere rimproverato dall'insegnante. Lo scolaro sa per certo che da tale situazione non potrà derivarne alcun rischio o danno fisico, eppure il suo essere biologico interpreterà il pericolo simbolico alla stregua di uno reale; la cascata chimica e funzionale, nell'organismo del bambino, sarà del tutto simile a quella che si sarebbe verificata se al posto dell'insegnate ci fosse stata una belva feroce, come poteva avvenire per un bambino del Cenozoico preistorico. Si attiverà dunque l'attività simpatico-adrenergica e tutti quei meccanismi neurotrasmettitoriali che governano le dinamiche di attacco e fuga. Questo perché il nostro organismo ha imparato a reagire ai pericoli già centinaia di migliaia di anni fa (quando le situazioni critiche erano totalmente pre-culturali) e sulla base di questo arcaico apprendimento ha modellato un proprio paradigma biologico e biochimico.

Dovremmo quindi aiutare il paziente a recuperare il trauma simbolico e forse troveremo nei sintomi e nelle disfunzioni della patologia di oggi le ferite della storia della specie: la paura di essere aggrediti, abbandonati, rifiutati, divorati; la paura di morire di fame e di freddo; la paura di non farcela nel combattimento; il desiderio di vincere, di dominare, di fuggire, di primeggiare o di rinunciare e scegliere il gregariato. Ciò che avveniva nell'organismo dell'Uomo di Neanderthal, 100.000 anni fa, è più o meno ciò che avviene in quello dell'uomo del nostro tempo. Tali considerazioni ci consentono di inquadrare meglio il concetto stesso di risposta immunitaria e parallelamente di estendere quello di aggressore: nel linguaggio dell'immunologia il concetto di antigene. L'organismo conosce il codice simbolico.

Questo tipo di approccio, capace di valutare il conflitto psicologico come biologico e viceversa, porta sulla strada della guarigione, cioè riappropriazione dell'attacco subìto da parte del soggetto ai fini di una nuova riconfigurazione del profilo vitale. Siamo quindi ben oltre la cura sintomatologica della malattia. Essa, la cura dei sintomi, non certamente deprecabile, sarà da perseguire nelle fasi acute delle patologie, o nelle fasi più avanzate, quando le problematiche saranno così inveterate e radicate da non permettere più un recupero dell’equilibrio.

Esiste allora una tempistica dell'intervento medico in cui l'aspetto preventivo deve essere tenuto in massima considerazione: nelle primissime fasi sarà possibile inibire l'evoluzione verso patologie croniche autoimmuni attraverso la conoscenza delle predisposizioni familiari, del corretto stile di vita, della condizione emotiva e delle tensioni relazionali. In questa prima fase il medico dovrà intervenire, attraverso la medicina di regolazione, su più sistemi, primo fra tutti il sistema immunitario, riequilibrando, cioè aiutando l'individuo ad eseguire quei cambiamenti che riportano l'armonia bioenergetica. Potrebbe a volte essere d'aiuto la presenza dello psicologo. Solo nelle fasi più avanzate non si potrà prescindere da un approccio “tradizionale” basato sulla normalizzazione delle funzioni organiche alterate e su tutti quei rimedi farmacologici che consentono il controllo dei sintomi e della sofferenza.

Dalle conclusioni del volume - Ed. Aracne, Roma 2018: di Gianni Tadolini e Marco Valentini